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Immagine del redattoreGerardo Fortino

Sono il fotografo del necrologio: il grido dimenticato del Congo

Aggiornamento: 6 giorni fa


Malnutrizione Repubblica Democratica del Congo

Fotografo del necrologio: il Congo, le sue vittime e il silenzio del mondo


Rientro dalla Repubblica Democratica del Congo con un peso che non posso scrollarmi di dosso. Ogni fotografia scattata lì è una lapide, un ricordo di vite che il mondo ha scelto di ignorare. Mi sento, forse per la prima volta, non un cronista della vita, ma un fotografo del necrologio. Non per scelta, ma per necessità.


Tra i campi profughi che ho visitato, ho visto la fame farsi carne, ho visto un bambino il cui corpo sembrava cinto da un carapace scheletrico, divorato da un ragno metaforico che si annidava dentro di lui. Quel bambino oggi non c’è più. Non riesco a togliermi dalla mente il suo volto, il suo sguardo. Non era solo un bambino. Era il simbolo di un mondo che consuma e distrugge, un’icona di tutto ciò che abbiamo perso come specie.


Nel Congo orientale, da vent’anni, si consuma una guerra silenziosa. Oltre 10 milioni di persone sono morte, 7,2 milioni di sfollati vagano senza futuro. Mentre fotografavo, mentre parlavo con le vittime, non riuscivo a fermare un pensiero martellante: quanto vale la vita umana in un mondo che non guarda?

Questa non è solo una crisi locale. È un disastro globale che intreccia avidità, ipocrisia e potere. I minerali del Congo – coltan, oro, cobalto – fanno funzionare i nostri smartphone, i nostri computer, persino le nostre auto elettriche, ma il loro costo reale è pagato con sangue.


Ogni selfie, ogni messaggio che mandiamo, è intriso di un dolore che non vediamo. Mentre il mondo avanza con la sua tecnologia, il Congo sprofonda in una miseria senza fine.


A tutto questo si aggiunge un altro crimine: quello dell’ambiente. La foresta pluviale del Congo, il secondo polmone verde del pianeta, viene devastata ogni giorno. Milioni di ettari scompaiono, lasciando dietro di sé solo terra bruciata e speranze distrutte. Stiamo uccidendo il nostro futuro per alimentare un presente che non ci salverà.

Paul Kagame
Paul Kagame (Presidente del Ruanda)

Ma il Congo non è solo. Questa rete di distruzione si estende, invisibile, fino ai corridoi del potere. Il presidente ruandese Paul Kagame, lodato e accolto nelle sale diplomatiche dell’Europa, è uno degli artefici più silenziosi di questa tragedia. L’Unione Europea, mentre sigla accordi minerari e stringe mani in apparenza diplomatiche, chiude gli occhi su una realtà agghiacciante. Kagame è accusato di crimini di guerra, torture, assassinii. La sua ombra si allunga fino a Bruxelles, dove i dissidenti ruandesi vivono nella paura di essere avvelenati.


Lo chiamano "Utuzi twa Munyuza", "le gocce d’acqua di Munyuza," un metodo di avvelenamento raffinato e silenzioso, che porta il nome di Dan Munyuza, ambasciatore ruandese implicato in complotti per eliminare i dissidenti. Tra le vittime designate c’è stato persino Denis Mukwege, premio Nobel per la pace, ginecologo che ha curato le ferite del Congo. Durante una visita a Bruxelles nel 2015, il suo autista ruandese gli offrì una cravatta avvelenata. Mukwege si salvò per un soffio.