
Congo - Goma sotto assedio: tre peacekeeper morti e 18 feriti nei combattimenti contro i ribelli
Venerdì, tra le colline verdi e insanguinate dell’est del Congo, tre peacekeeper sudafricani hanno trovato la morte combattendo contro i ribelli dell’M23. È solo l’ultimo capitolo di una tragedia che si consuma da decenni, in una terra ricca di minerali e povera di pace. Le Nazioni Unite, con la loro macchina umanitaria, sono rimaste a guardare mentre il fuoco delle armi avanzava. Questa volta, però, anche loro hanno pagato un prezzo.
A dare la notizia è stato un funzionario dell’ONU, parlando sotto anonimato, quasi a voler nascondere la vergogna di un’organizzazione impotente. I ribelli dell’M23, spietati e ben organizzati, hanno circondato Goma, città che, con i suoi due milioni di abitanti, si aggrappa disperatamente a una fragile normalità. Goma, porta verso il cuore di un continente che il mondo preferisce ignorare.
Le strade che portano alla città si stanno trasformando in trappole mortali. Giovedì, l’M23 ha preso il controllo della vicina città di Sake, a soli 27 chilometri da Goma. È l’ultima linea di resistenza prima che anche l’umanità, già ridotta all’osso, venga calpestata. António Guterres, Segretario Generale dell’ONU, ha detto che il personale essenziale rimarrà sul campo per garantire il minimo indispensabile: cibo, assistenza medica, rifugi. Ma chi può garantire protezione a chi non ha più nulla, neanche la speranza?
L’Alleanza Democratica, il secondo partito più grande del Sudafrica, ha confermato che i soldati uccisi giovedì a Sake facevano parte delle Forze di Difesa Nazionale del Sudafrica. Non è chiaro se fossero membri della missione di peacekeeping delle Nazioni Unite o della Southern African Development Community (SADC), un altro fragile tentativo di arginare l’orrore. Nella stessa dichiarazione si legge che almeno 18 soldati sudafricani sono rimasti feriti. Uno stillicidio che non fa notizia, lontano dai palazzi dorati del potere.
L’M23 avanza, e con esso il buio. Non è solo una questione di geopolitica o di interessi minerari: è il grido di una terra che non trova pace. Una terra che vive sotto l’ombra di fucili e machete, mentre il mondo volta lo sguardo. Ai confini di Goma, tra le macerie di Sake e le montagne ferite, il sangue continua a scorrere. Ma chi lo racconta, se non c’è più nessuno a sentirlo?