
Han Kang: Un romanzo crudo e necessario per ricordare una delle pagine più oscure della Corea del Sud
Han Kang: Era il 1980 quando un manipolo di militari aprì il fuoco su una folla in protesta a Gwangju, in Corea del Sud, soffocando così nel sangue una legittima rivolta popolare che voleva solo difendere la democrazia dalla dittatura militare. Han Kang, però non racconta l’evento scatenante, ma solo le sue conseguenze: sette capitoli di vite dilaniate, di ragazzini che si prendono cura dei cadaveri in attesa che i familiari li riconoscano e li prelevino dalle palestre pubbliche per portarli a casa e dare loro una degna sepoltura, di uomini e donne che scampano al massacro in strada solo per essere imprigionati e torturati brutalmente.
Una triste storia di atti disumani, quella che la scrittrice decide di raccontare in questo breve romanzo. Una delle pagine più nere del XX secolo per la Corea del Sud, che questo massacro desidera ormai cancellarlo dalla memoria quando invece sarebbe più importante ricordare, perché non si verifichi mai più nulla del genere.
Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio.
La brutalità senza veli
Descrizioni crude, dettagli macabri, storie di sofferenza e tortura. Nulla viene risparmiato al lettore durante la lettura di questo impegnativo romanzo. Sia le brutalità che vengono raccontate, sia lo stile estremamente diretto dell’autrice concorrono a lasciare un peso sullo stomaco pagina dopo pagina, un peso che si sposta sul cuore nel momento in cui si termina di leggere e ci si chiede come sia possibile che l’uomo, dopo tante stragi storiche, non abbia ancora imparato il rispetto per la vita altrui.
Il trauma fisico e psicologico di ogni singolo personaggio diventa il trauma emotivo del lettore, sconcertato di fronte alle crudeltà perpetuate e alle conseguenze a lungo termine alle quali evidentemente nessuno pensava quando si è deciso di provare a cancellare quanto successo.
Il valore della memoria collettiva
Sebbene siano stati molti i tentativi di eliminare dalla memoria questo triste capitolo della storia coreana, chi l’ha subito, direttamente o indirettamente, ci convive ancora ogni giorno e ne porta il terribile peso.
La lettura di questo romanzo serve per ampliare la memoria collettiva, per far entrare quante più persone in empatia con i personaggi e con chi, nella vita reale, non può dimenticare, entrando così a far parte di una comunità di persone che rifiuta di accettare tanta brutalità da parte dell’uomo moderno. La sensibilizzazione dei lettori nei confronti di tali tematiche è quanto di più importante possa esserci tra i molteplici scopi della lettura, perché provare disgusto e sconcerto verso quegli eventi serve perché non si ripetano e non solo in Corea, ma in qualsiasi parte del mondo.
Han Kang non è indubbiamente una scrittrice per tutti, ci vuole fegato per portare avanti una lettura tanto brutale. Eppure è un libro che tutti dovrebbero leggere, superando le proprie difficoltà a gestire ciò che non si vuole vedere, avendo il coraggio di entrare in empatia con chi questi atti disumani li ha subiti in prima persona. Lo stile difficile può scoraggiare, mescola frasi poetiche ad altre più sconnesse, cosa che può confondere, eppure rende perfettamente l’idea del trauma e della sua ardua elaborazione, tema basilare di questo romanzo. Un libro da leggere per non dimenticare.
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